Piazzale Dunant, Roma. Una coppia tra i 40 e i 50 mi si avvicina. Lui: "Scusa, per Trastevere?" Io, sbrigativo: "Dritto qua." "Ok, grazie." Faccio due passi poi ci ripenso, mi volto ancora verso di lui e aggiungo: "Ma è un po' lunga." Mentre lo dico noto che è sulle stampelle: ha una gamba sola e io l'avevo guardato dritto negli occhi. Mi risponde lei, accennando un sorriso dolce, quasi materno: "Non importa." Si prendono per mano, mi voltano le spalle e ricominciano a camminare, a quel ritmo tutto loro. "Non importa" mi ripeto, "non importa". All'amore tanta roba proprio non importa.
lunedì 12 novembre 2012
domenica 11 novembre 2012
Speculazioni linguistiche domenicali
A me sembra che l'espressione "perdere la pazienza" sia fuorviante e che associare alla temporanea adesione a se stessi un senso di perdita sia ricattatorio. La pazienza non è una caratteristica integrata nell'uomo, perdendola non si perde proprio niente, se non una sovrastruttura che usiamo per sopravvivere nel mondo. Più o meno come il parrucchino o le ciglia finte. Quando diciamo "perdere la pazienza" descriviamo piuttosto un atto di avvicinamento alla verità di noi stessi, un atto - nella maggioranza dei casi -sano; quindi per descrivere il fenomeno suggerirei un'espressione alternativa, tipo "aderire all'istanza" o una cosa così. Mo lo scrivo a De Mauro, va. [no, gniente, volevo dilla 'sta cosa]
venerdì 9 novembre 2012
Mi amerò
Il potere degli anagrammi. Esiste un momento in cui diventa sano dimenticare cose o persone, in cui se si conserva ossessivamente un ricordo si comincia a non conservare più se stessi: è il momento in cui "memoria" diventa l'opposto del suo anagramma "mi amerò".
Iscriviti a:
Post (Atom)