Ieri stavo facendo uno dei miei approfondimenti finti. Gli approfondimenti finti sono gli approfondimenti del nuovo millennio, quelli asistematici per cui, se ti viene in mente una cosa che conosci solo per sentito dire o con la quale hai appena un po' di dimestichezza, pensi bene di scandagliarla meglio digitando qualche parola su google (accontentandoti ovviamente del primo risultato), invece di alzare il culo (sì, culo!) e cercare, che so: la bibliografia fondamentale in merito? Magari un Bignami? Almeno un libro con le figure! Insomma, qualcosa che abbia se non altro l'eleganza dignitosa della stampa su carta.
Ma non è questa la sede per discutere della tuttologia telematica imperante e della mia capacità, allenata da anni - questa sì sistematicamente - di intortare gli interlocutori culturalmente più deboli di me raccontandogli le quattro cose che so di un argomento mentre gli faccio credere che stia omettendo, per non tediarli, tutte gli altri aspetti della questione, che appunto io per primo ignoro. Si tratta del talento da paraculo declinato culturalmente (fenomeno, a dire il vero, su larga scala terrificante e pernicioso, ma nessuno è perfetto) e magari ne parlerò in seguito.
Il mio approfondimento finto di ieri riguardava una branca della filosofia: la logica. Riporto di seguito l'ultima parte di quanto ho letto, l'unica che io abbia seguito con una certa attenzione (leggere in modo disattento quella che chiaramente è già la versione liofilizzata di un testo ha veramente del patologico, lo ammetto):
Oltre al sospetto, sempre più concreto parola dopo parola, di conoscere già la tematica senza averne ravvivato debitamente la memoria in questi anni: la mia laurea è pericolosamente connessa con il tema, la lettura di queste righe ha prodotto alcune riflessioni, ben più profonde (ma non so se profonde in assoluto, ovviamente) dello stesso originario finto approfondimento.Maggiore è infatti la profondità con cui abbiamo compreso una determinata parola od un concetto e maggiore è la probabilità che tale nostra comprensione comprenda in sé anche il significato che un'altra persona dà a quella stessa parola o concetto. Per questo motivo maggiore è la nostra consapevolezza e maggiore è la nostra capacità di comprendere il pensiero altrui.
- La lingua è un codice, e ci siamo.
- Per comunicare occorre che il codice sia condiviso dagli interlocutori, ok.
- Esiste un codice linguistico dell'amore? Sì.
- Cosa intendo? Non parlo dei nomignoli (tesoro, cucciolo, honey, amo'... tanto per fare una climax varia e ascendente per bruttezza), parlo proprio di una lingua nella lingua, i cui rimandi siano talmente tanti ed articolati che le due persone coinvolte potrebbero parlarsi per ore con vocaboli, verbi, metafore del tutto astrusi per gli altri eppure così estremamente espressivi per loro. Lo so, è banale... ma non è meraviglioso? Non è meraviglioso che una parola sciocca o addirittura una semplice sillaba, un fonema, possano contenere tanta energia da comprendere in sé anche il significato che l'altra persona - lei e solo lei - dà a quella stessa parola o concetto? Cosa se non l'amore è espresso dalla capacità di due persone di dare ad una parola lo stesso identico significato? L'amore è creativo, l'amore semantizza anche l'insignificante. O, più in generale, l'amore è espresso dall'avere naturalmente fiducia che l'altro stia dando a qualcosa il tuo stesso senso. Proseguo:
Ora, sebbene quindi è probabile che si dia all'interno di un gruppo linguistico una definizione simile ad una data parola (difficilmente identica dato che ad ogni parola ognuno associa una determinata carica emotiva o sentimento puro che può essere diverso da persona a persona), la profondità con cui tale parola viene compresa dentro di sé non dipende da un fattore
linguistico ma da un fattore intellettuale. E l'intelligenza di una persona è direttamente proporzionale alla sua consapevolezza spirituale, e cioè alla quantità di Spirito che ha in sé.
Da qui ancora due deduzioni:
- Mi chiedo sempre dove risieda per me l'amore. Per me il fondamento dell'amore risiede nelle nostre parole, nel codice che decidiamo di costruire insieme, nel legare ad una parola, quale che sia, la stessa carica emotiva, lo stesso sentimento puro dell'altro.
- Se chi parla bene pensa bene, se le parole sono il nostro pensiero, se l'intelligenza di una persona è direttamente proporzionale alla sua consapevolezza spirituale, e cioè alla quantità di Spirito che ha in sé, allora per me non solo l'amore è intelligente, ma
l'amore è avere la stessa quantità di spirito dentro.
È una specie di luce di cui a volte non ti accorgi, perché naturale come lo spirito, ma che conosci benissimo se l'hai provata, e gioisci perché l'hai trovata.
RispondiElimina..ed è difficile disimparare a parlare
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