24 ore sull'orlo della commozione, come acqua che freme dentro un cristallo, nell'attesa della goccia definitiva, liberatoria.
Esistono momenti della vita in cui vieni inondato da un fascio di emozioni indistinte, fortissime, come se all'improvviso fossi in pieno contatto con le persone che popolano la tua vita, persino quelle che non conosci, che incroci per strada solo per un istante. Oggi è stato uno di quei giorni. I giorni della frequenza, li chiamo io. Una sensazione talmente strana, una contrazione alla bocca dello stomaco, ma non dolorosa, che irradia un brivido in tutto il corpo e ti lascia lievemente intontito: all'improvviso hai perfettamente chiaro, o almeno ti pare, come possa sentirsi l'uno o l'altro personaggio della tua vita, senti di poter calzare i suoi panni a pennello, li senti sfiorare la tua pelle; e vedi dai suoi occhi, senti dalle sue orecchie, respiri la sua aria o ti si spezza il fiato nel suo affanno. E fai una scoperta bellissima: la comprensione, e dopo la comprensione trovi la solidarietà. E il perdono.
Nell'arco di queste 24 ore mi sono capitate due cose, come se le avessi attirate.
1. Mentre me ne andavo dal cimitero, depositato al suo posto un fiore che somiglia al sole, una vecchietta mi ha fatto cenno e con un sorriso maldestro si è avvicinata alla mia macchina: "Fa la salita lei? Ho camminato tutto il giorno e ho male alle gambe".
"Certo signora!", ho mentito.
"Sa, è che ho perso l'ultimo 'filobus' e mio marito è temporaneamente in ospedale".
"Ha fatto benissimo a chiedere".
"Veramente lo faccio sempre...", sorriso ammiccante da pupa del gangster.
Abbiamo condiviso giusto il tempo di scambiarci queste quattro battute, mi ha raccontato che suo marito la rimprovera per la sua faccia tosta ed è scesa, come una simpatica meteora. Quanta vitalità, purezza e fiducia nel prossimo! Nello spazio di un cambio di marcia dalla prima alla seconda la pupa del cimitero mi ha dipinto un sorriso sul volto che ancora adesso porto addosso.
2. Nel tardo pomeriggio poi, una persona del mio passato, che ho escisso dalla mia vita con una precisione chirurgica, mi ha scritto un messaggio: sentito, umile, sano; per onorare la ricorrenza che cade in questo giorno e che ho celebrato con il fiore.
"Ti voglio bene e ti abbraccio forte, ovunque tu sia. Sia splendido per il te il futuro, te lo auguro con tutto il cuore!"
"Auguro lo stesso a voi, certo di non sbagliare la previsione", ho risposto. L'ho fatto d'istinto e me ne sono stupito. E' che sono stato avvisato dalla contrazione del mio stomaco che le sue parole celavano qualcosa di potente, temibile, magnifico, più forte degli anni trascorsi, più forte di ogni giudizio, di ogni ostacolo. Tra breve sarà mamma, ho scoperto di lì a poco. Ma in fondo, mi chiedo, l'ho davvero scoperto? O non ero già su quella frequenza, ed era esattamente ciò che sentivo, ciò che mi ha fatto scrivere "voi"? Se non ho la certezza di questo, so però che le parole che hanno seguito la rivelazione, mie e sue, mi paiono ora, a rileggerle, foglie delicatissime, su cui trotterella qualche lacrima antica e salvifica. Non ce ne dicevamo da anni di così piene e dignitose.
Ecco, nei giorni della frequenza mi ricordo che il genere umano ha una speranza, che io ho una speranza. E per questi giorni ringrazio, anche se a volte li sento come una prigione, perché avrei voglia di non contemplare la dialettica, di essere refrattario, di difendermi dagli altri non capendo e di non farmi sempre disarmare dal buon senso (sì, staccato). Ma la bontà chiama bontà, mi hanno insegnato due meravigliose creature: non so se è vero, ma in questi giorni mi pare di non poter far altro che crederci.